Che cosa è questo “Love” che Gaspar Noé ha filmato nel 2015, ben oltre le osservazioni come al solito dotte quanto inutili che i critici propongono per liquidare il film come un porno fallito, un melò prevedibile e banale o un coacervo di immagini hard senza storia e senza sceneggiatura?
Anzitutto è un’esperienza di verità. E la verità non ha sceneggiatura, non ha logica, non ha neppure preoccupazioni di generi, si dà, e basta. E quello che si scopre, o riscopre (io ho riscoperto, sentito, sperimentato nella mia carne) vedendo questo film, è la tragica verità dell’amore. Ben conosciuta, intendiamoci, ma che pochi, anzi pochissimi, sono riusciti a far passare attraverso narrazioni o immagini. La poesia sola ci riesce qualche volta.
Al di là probabilmente delle stesse intenzioni dell’autore che certo lo dice ma che questa volta lo fa, suo malgrado. Malgrado i manifesti di film che tappezzano la stanza del protagonista, malgrado la legge di Murphy citata a inizio film, malgrado le citazioni inutili che l’autore, forse per ripararsi dai dardi dei critici, ha voluto inserire (già meglio quelle musicali). Rendendosi però così paradossalmente ancor più vulnerabile all’occhio giudicante e specialistico dell’esperto (che nulla sa).
Quello che invece si sente e si vede nel film, (che ho sentito e visto), è ciò che conta.
Anzitutto questo è un film di baci stupendi. Uno straziante, commovente, straordinario film di baci. Baci splendidi, incredibilmente autentici, baci di labbra, baci di bocche vere. Prolungati, frequentissimi, forti e dolci. Una aspasmoforia, si potrebbe dire, che celebra l’atto più stupefacente dell’amore, il vero perdersi dell’uno nell’altro che solo i baci possono donare. Già solo per questo, per la qualità e l’insistenza di baci bellissimi, il film meriterebbe una menzione d’onore nel cinema erotico.
Ma poi il film è completamente immerso nell’ombra del suo finire. Nessuna grande passione d’amore può evitare di essere letteralmente tessuta nell’angoscia della sua fine. Non della morte in senso generale, che pure nel film c’è, e che certo ha anche a fare con l’amore, ma del finire dell’amore. L’amore trionfa mescolandosi continuamente all’angoscia del suo finire. E la ripetuta richiesta di conferma, di protezione dell’amore, di assicurazione che l’amore sarà salvato o che dovrà tornare, è il vero basso di fondo di questo splendido film. Gli amanti non si danno tregua nel cercare di rassicurarsi e di cercare di fugare il timore dell’inevitabile. Ogni risorsa è spesa per mantenere in vita la passione, anche quando queste risorse mostrano la corda, come nella parte finale del film, quando i due cominciano a prendere strade sempre più estreme per salvarlo. E’ questo l’amore assoluto, l’amore in cui ci si sente drogati, si è drogati. Qualcosa che al drogato protagonista sembra l’unica droga che davvero lo porti all’acme del piacere. Qui l’amore come droga, qui l’amore come via per fornire un senso al vivere, qui l’amore come esorcismo della morte che circola dietro i corpi bellissimi dei protagonisti.
E ancora proprio la grammatica sgrammaticata del film nel dire l’amore, che non può essere che così. Il disfarsi a brandelli del tempo, degli spazi, della narrazione, la ripetizione di frasi ovvie, la lacunosità del linguaggio, impotente a esprimere se non per formule quasi di preghiera. Tutto si spezza nella memoria d’amore, nel desiderio di riviverlo, di non permettere al tempo di stritolarlo, di annientarlo. I colori del film, mai eccessivi ma che sottolineano il calore dei corpi, la febbre, l’anelare al contatto, al coito. Le musiche, il dondolio di Satie della Gnossienne, la lenta esecuzione del ‘55 delle Variazioni Goldberg fatta da Glenn Gould.
La musica avvolge teneramente i corpi, ne scandisce i gesti, gli avvolgimenti, gli struggimenti, ben oltre la pornografia che qualcuno insiste a imputare come fine del film ma che invece non c’è ed è pure esplicitamente negata. Senza nulla togliere alla pornografia, questo film che si intitola non a caso “Love” è altro. E’ la celebrazione dell’amore carnale, dell’amore reale, della richiesta tragica che è dietro ogni amore autentico, dello sporgimento sull’abisso che è ogni amore folle, l’amore delle prime notti, l’amore dei baci ininterrotti, l’amore che, ad onta talora di un a recitazione non sempre perfetta ( e chi se ne frega! se poi i corpi parlano molto meglio che le parole), è l’unico amore che come una grazia qualche volta nella vita ci accade e allora ci offre, per una volta almeno, l’unica vera ragione per cui vivere.