Ieri ho visto alcuni dei volti migliori della nostra generazione. E ho sentito le loro voci. In un’assemblea di persone mirabilmente accompagnate e ospitate da Anna Maria Conoci, di persone ancora vive, nonostante il soffocamento sistematico di cui tutti siamo vittime ad opera della polluzione di nulla continuamente officiata dalle agenzie di promozione del potere che uccide, ho ascoltato voci assonanti e controcorrente, ciascuna con la sua specifica intonazione.
All’esuberanza vitale, gioiosa e contagiosa delle parole e dei gesti di Franco Arminio, cantore di una nuova attenzione per ciò che ci circonda, un’attenzione sufficientemente lenta e sorvegliata da poter invertire l’entropia accelerata che distrugge la bellezza possibile dell’essere nel mondo, la possibilità di gustarlo, guardarlo, palparlo, richiamandoci al dovere di essere assorti “percettivi” e non vacui “opinionisti”, si è avvicendata la pacata riconsiderazione di un ascolto della melodia delle cose, per dirla con Rilke, da parte di Salvatore Colazzo. Ci ha ricordato che il silenzio e il vuoto sono premesse per restituire al mondo e alla nostra ospitalità la sua armonia, forse nel senso in cui ne parlava due secoli fa Charles Fourier, con la sua teoria di un mondo amoroso.
Intanto Renato Grilli dava alle pause il senso profondo che da sempre hanno avuto, lasciando che a parlare fossero i poeti, gli ultimi alchimisti autentici di un mondo che sembra provvedere fatalmente a trasformare l’oro che c’è in irrecuperabile piombo.
Anna Maria Conoci ha presentificato la statura essenziale del corpo, nella sua epifania d’infanzia, come scrigno che nessuna maleducazione deve poter reprimere, addomesticare, strangolare per adattarlo alla prigionia dei ritmi della macchina industriale e del feticismo di un lavoro quale che sia. Ci ha mostrato che il corpo dei bambini è sempre integro, fino a che non lo prende in cura qualche ortopedia educastrante e che il nostro compito è di custodirlo, stimolarlo, liberarlo, affinché sia in grado di sentire la carne dell’esistere.
Ho voluto ricordare anch’io che per esserci nel mondo, dobbiamo reimparare a sentire il suo volto, con il volto di ogni cosa, in un rinnovato patto di alleanza, ripristinando una sensibilità simbolica che ci impedisca di violentare la terra, la natura, gli animali, noi stessi nel nostro delirio di autosfruttamento, gli esseri che non corrispondono all’homo oeconomicus, e che invece, in virtù di un’ospitalità acuta e amorosa possano adempiere al loro esserci, diventando quello che sono nella loro più celata intimità.
Chiara Scardicchio ci ha emozionato con la sua testimonianza sofferta per una sensibilità, una percezione acuta e quasi straziata, capace di trarre dalle ferite, dai vuoti, dai balbettamenti di chi fatica a esprimersi la pietra filosofale, perché è proprio dalla vulnerabilità che nasce il desiderio di vita, l’affermazione ad esserci, nell’educazione tanto cruciale e troppo spesso tanto tradita.
Infine Bruno Tognolini, con la sua presenza mobile, danzante, cantante, ci ha ricordato che c’è un patrimonio poetico, che sta nella grazia degli alfabeti sonori dei bambini, nelle loro espressioni solo apparentemente perdute, così come nella rima d’infanzia, la filastrocca, una sorta di ragionata leggerezza o di sensibile pensiero poetante che può fare da potente controaltare ad ogni arroganza giudicante, ad ogni astrazione senza corpo, ad ogni tirannia disciplinare.