Della guerra tra uomini e donne

Della guerra tra uomini e donne

E’ sempre più guerra. C’è voglia di guerra, non c’è che dire. Non solo a livello di imperi e imperucoli della terra ma anche nelle relazioni umane, non solo a livello di figure con la schiuma alla bocca come Netanyahu o Putin ma proprio qui, nei nostri rapporti privati.

Leggevo poco fa il post di una nostra scrittrice che sosteneva la necessità per le donne di migliorare le loro capacità di combattimento così da potersi meglio difendere dagli assassini di ragazze (che pare siano sempre più numerosi). Un torrente di entusiasmo si è subito scatenato sotto il post. Evviva, avremo il ritorno del combattimento da strada, non più tra bande di ragazzini ma tra uomini e donne. Già vi faceva cenno Alessandro Dal Lago nel suo Sangue sul ring, un interessante libretto sulla diffusione e sul successo esponenziale di questi combattimenti efferati e senza esclusione di colpi (regolati da un arbitro tuttavia) in cui anche le donne sono entrate massicciamente.
Questo suggerimento raffinato fa il paio con quello di Emma Dante che, dopo l’omicidio della Cecchettin, invitava a tagliare semplicemente i genitali dei maschi. Soluzione drastica ma sicuramente efficace. Si potrebbe, più definitivamente, proporre di eliminare i maschi alla nascita, anzi già nell’utero, visto che a loro va ascritto ogni male sulla terra.
Purtroppo è davvero guerra. Interrogativi più dubbiosi, inquieti e profondi su questa presunta “emergenza” è difficile trovarne.

Raramente si legge qualche tentativo di andare più a fondo alla questione (un buon tentativo è stato fatto secondo me da Emmanuel Todd nel suo recente libro Où en sono elles che in Italia non è stato neppure considerato). Qualche psicoanalista affaccia ogni tanto un’analisi ma la paura di essere semplicemente etichettato come patriarcale, misogino e fallocrate è forte per chiunque (già a me è capitato per un altro post in cui cercavo di porre in luce anche altri aspetti del problema, tipo la maschilizzazione della donna). Non serve farci la guerra, non serve fare corsi di autodifesa, serve prenderci cura delle nostre fragilità, essere meno carogne, usare meno il cellulare e più il dialogo e talvolta certo, anche un buon spray al peperoncino.

Dovremmo abbassare i toni, mi si perdoni questa locuzione davvero logora, ma è giusta. Abbassiamo i toni, guardiamo in che sfascio stanno le identità maschili e femminili, abbiamo pietà gli uni degli altri, perché c’è tanta miseria culturale, tanta ignoranza emotiva, tanto dolore soffocato negli uni e nelle altre che avrebbero bisogno di trovare ascolto reciproco e non la chiamata alle armi o il linciaggio.

Senza contare che, a scanso di eccessive generalizzazioni, ognuno è un caso a sé. Ogni storia, di vita lo è, ogni conflitto, ogni omicidio. Si è prontissimi a gridare la rabbia ma poi a ben guardare è difficilissimo ricondurre ad un’unica matrice i vari episodi. O ci fa comodo farlo? O è solo perché c’è fame di guerra? Voglia di sbranarsi? E va bene, e allora sbraniamoci, del resto è il trend, ci sbraniamo ovunque, sul lavoro, sui mezzi pubblici, in auto, nei talk-show, è il nostro stile di vita. Respingiamo ogni istanza di dialogo, di attenzione, di pazienza.

Parliamo più di femminicidio che di quello che sta succedendo a Gaza, perché? Perché questa è la nostra guerra. Invece di lasciare che la giustizia, le perizie, l’intervento degli specialisti facciano luce su ogni storia singolare, vogliamo la crocifissione. I profili che conosciamo della maggior parte delle storie sono caricature. Le ragazze vittime sono sempre “meravigliose”, persone insostituibili. I maschi mostri. .

Assetati di vendetta, ecco cosa siamo.

Più che mai dobbiamo deporre le armi, non ne usciremo così. La guerra porta altra guerra. La vogliamo davvero? Gli assassinii aumenteranno, ve lo garantisco. Guardiamoci ingrugnati, denunciamo ogni corteggiamento come molestia, mettiamo il terrore anche sulle carezze, e vedrete, i “femminicidi” impazzeranno.
Con ciò, pur sapendo che gli equivoci non potrò fermarli, non sottovaluto il maschilismo residuo del nostro tempo, le difficili condizioni in cui vivono molte donne, le molestie quelle vere, dove il potere viene usato come mezzo di ricatto, non sottovaluto l’aggressività del maschio (che pure ha un così forte richiamo sessuale ancora su certe femmine). Dico solo che vanno trattati, tutti questi mali, come per ogni guerra incipiente, con la diplomazia, con la cultura, con l’approfondimento, con un approccio ricettivo, con l’intenzione dell’intesa, non della distruzione del nemico.

Vale, a mio giudizio, l’invito di Emmanuel Todd:

“Noi non abbiamo bisogno di (donne) che denunciano senza tregua, in nome del ‘genere’, l’oppressione di un sesso da parte dell’altro e che demonizzano gli uomini. (…)

Noi abbiamo bisogno, nell’immediato, di donne che riprendano parte alle lotte sociali comuni e all’organizzazione del collettivo” (2104-2105 dell’edizione I-book)).

In sostanza abbiamo bisogno di ripristinare quanto prima la collaborazione tra i sessi, lasciandoci alle spalle questa guerra folle che ci nasconde i conflitti gravissimi che riguardano le disuguaglianze, l’oppressione della società turbocapitalista, le temibili questioni che pone l’avvento dell’intelligenza artificiale, la propaganda iperproduttivistica che ci induce all’abbandono dell’attenzione per la dimensione orizzontale dell’esistenza, per la solidarietà, la cura, l’accoglienza.

Abbiamo più che mai bisogno di ricominciare ad amarci, a cercare la mediazione tra le nostre differenze, curando le nostre debolezze ma custodendo al contempo le nostre peculiarità. Personalmente credo che solo così potremo aiutarci a ridurre i danni di un maschilismo feroce ancora presente seppure in calo e di un femminismo altrettanto feroce che pare accecato dalle sue ferite.

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