Ogni tanto i giornali, sempre pronti a enfatizzare l’irrilevante, ci parlano di qualche meravigliosa scuola superlusso, a imitazione delle celeberrime scuole finlandesi o danesi (i primi a inventare i lager a 5 stelle). E ne nascono, di tanto in tanto, di queste scuole, con seggioline colorate, stampe di quadri alle pareti, murales, materiali ecologici, tavoli e non più banchi, aule video, aule digitali, piante e fiori, giardini e piscine, laboratori per la falegnameria, la ceramica, il piccolo chimico.
Applausi. Applausi. Applausi.
Ma certo, va bene, chi può dire male di una scuola che non sembri più una topaia, con tavolini di truciolato scadente e seggiole che sembrano il fantasma di una sedia?
Applaudo anch’io. Anzi vado all’inaugurazione. Che figata!
Poi però ci penso ed ecco, capisco. Occorre in qualche modo eufemizzare, mascherare, rendere meno indigesta la cupa e funesta sottovita che si trascorre a scuola, naturalmente senza metterla in discussione.
Il potere, che è sempre gattopardiano, ci dà sopra una vernicetta nuova, purchè tutto resti come prima.
Bamibini rinchiusi, lontano dalla vita, obbligati a fare compiti e non a vivere la loro vita attraverso esperienze nel mondo reale, a contatto con persone reali, con luoghi reali, con difficoltà reali che se vanno male sono solo da ripetere e non certo sanzionate da voti e da giudizi di un sistema autoreferenziale e fallimentare e che se vanno bene sono pezzi di autentica gioia condivisa. Bambini che sono costretti a studiare cose che per lo più passano a chilometri dai loro interessi normali, sani, vitali. Bambini che devono essere preparati per domani, per presentarsi sul mercato delle vite adulte con gli strumenti più avanzati per adattarvisi e vincere. Vincere cosa? Una vita contraffatta, all’insegna del successo, del denaro e di vacanze, se gli è andata bene, in qualche resort da stronzi in Kenya o in Tailandia.
Bambini a cui viene rubato il tempo della loro infanzia e la vita ineguagliabile di quegli anni seduti su sedie un po’ più comode, in posture più collaborative ma sempre in carcere, sempre su compiti artificiali però, non la realtà ma i libri di scuola, non i fornai ma i laboratori di forneria, non i sentieri e i boschi i fiumi e il mare ma le palestre e le piscine, non le persone ma questi strani soggetti chiamati insegnanti che non si sono mai allontanati dalla scuola neppure per un po’, questi fake umani, questi spacciatori di nulla perché perlopiù (ci sono sempre eccezioni ma rare) nulla hanno vissuto al di fuori della più grande mistificazione della vita dei cuccioli d’uomo, la scuola.
Ma ben vengano, per carità, i lager a 5 stelle. Di solito sembrano un po’ delle sale d’attesa del dentista o delle camerate Ikea ma ben vengano, se possiamo abbellire la detenzione, sempre meglio che niente.
Eppure. Eppure a me fanno incazzare. Quando si cerca di eufemizzare la tortura a me vengono i brividi. E’ un po’ come accompagnare un condannato a morte su una berlina di lusso e facendogli ascoltare musiche ambient.
Finché non capiremo, e quant’è dura capirlo per chi la scuola ahinoi se la porta dentro, questo cilicio a cui ci siamo affezionati, come ogni buon masochista, e che vediamo ancora come un’ottima soluzione per la vita dei nostri figli. Finché non capiremo che mostruosità sia per loro, la scuola, resteremo sempre degli orchi, quali siamo.
Come non capire che i bambini vogliono vivere la loro infanzia nel mondo, con tutti, vivendo tutti i lati possibili dell’esperienza che si chiama infanzia e che è scoperta, sensazioni, corpo, espressione, creatività, e che solo nel contatto con le mille facce della realtà può fiorire?
Come non capire che non è rinchiudendoli a fare esercizi di matematica e a compitare la storia di Carlo Magno, seduti, davanti a quaderni e lavagne, o schermi digitali ma portandoli in giro e rendendogli possibile andare concretamente a vedere, collaborare, partecipare e soprattutto sentire (finché la loro sensibilità non sia atrofizzata perlomeno dalla repressione adulta e del lavoro), che la loro vita si fa vita e non assoggettamento?
Come non capire che una settimana in un rifugio, un viaggio all’estero, dei giorni in una fattoria, delle ore su una barca a vela valgono migliaia di giorni scolastici buttati nel cesso?
A me che le scuole siano progettate da Renzo Piano o da Tadao Ando non me ne può fregare di meno.
Voglio solo vederle sparire, voglio rivedere bambini e ragazzi (e bambine e ragazze se no mi danno del sessista) in giro, con noi, a vivere il mondo e a dargli il loro inconfondibile tocco (prima tra l’altro che sempre di più questi adulti di merda che siamo diventati non progettino vacanze senza bambini e hotel, locali, ristoranti dove i bambini, come i cani, siano vietati perché disturbano o sporcano). Voglio che gli adulti che li mettono al mondo, questi poveri esseri umani alla loro mercé, ricordandosi bene che non hanno chiesto loro di venire in questo bizzarro quanto doloroso luogo di degenza a termine, si diano molto ma molto di più da fare. Si industrino in tutti i modi per far sì che l’ esperienza vitale dei loro piccoli sia infinitamente migliore della loro, purtroppo trascorsa a scuola tra studio, esami e compiti a casa.
Non ci sarebbe neppure bisogno di un luogo dove trovarsi, al limite. Basterebbe avere un programma: domani ci si vede con Alberto dal cuoco della mensa della fabbrica, dopodomani siamo alla fattoria in quattro con Liliana, Carlo e Valeria, dopodomani partiamo e andiamo in montagna, siamo in sette con Luigi che ci accompagna, poi là ci sarà la guida, venerdì andiamo a scoprire i luoghi dove ha vissuto Leopardi e a recitare le sue poesie sui suoi colli, a fare le prove di uno spettacolo sulla sua vita raccogliendo spunti originali, sabato ce ne stiamo a letto fino a quando ci pare.
A questo dovrebbe assomigliare la vita di bambini e ragazzi, organizzata dagli adulti certo, fino a che loro non sono in grado di farlo da soli, da adulti che abbiano capito cosa è un bambino e cosa è un adolescente e che si rifiutino di costringere quei corpi straripanti di vitalità dentro la camicia di forza necessaria perché possano acconciarsi alla forma delle scuole senza troppo lamentarsi e diventare sudditi e eunuchi come ogni sistema di potere li vuole.
Per questo occorre l’educazione diffusa e la parola scuola deve sparire dal vocabolario dell’educazione. Per questo occorre abolire la scuola fisica, anche se il suo aspetto può essere indefinitamente cosmetizzato.
Ma per fare questo occorre che gli uomini e le donne adulti ricomincino a guardare con autentico amore i loro bambini, a interrogarsi su cosa è all’altezza delle loro potenzialità e possibilità, che cosa davvero può riempire i loro giorni con l’intensità, la passione, l’entusiasmo che i cuccioli d’uomo sanno sprigionare laddove non vengano messi ai ceppi dell’imbecillità di una civiltà, la nostra, che dei bambini ( e degli adolescenti), pur dietro a un apparente quanto troppo spesso strumentale interesse scientifico, non gli è mai importato nulla.