Introdurre l’educazione diffusa nella società, come già molte volte sottolineato, non significa semplicemente portare i ragazzi e i bambini fuori dalla scuola a fare esperienze necessarie alla loro formazione. Significa prendere il mondo come oggi si presenta in tutte le società occidentali e occidentalizzate e rovesciarlo da capo a fondo.
Quello che noi ci proponiamo è che la presenza rinnovata di una parte assai cospicua della popolazione fino ad oggi relegata dentro gli istituti di soffocamento e educastrazione che chiamiamo scuole e che -come ci han ben spiegato Althusser, Foucault e Goodman (tra altri) sono sistemi di soggiogamento e addestramento all’accettazione dei sistemi di potere, in virtù del trattamento dei corpi e delle menti che in essi si praticano-, cambi radicalmente il nostro modo di vivere.
I bambini e i ragazzi che rientrano nella vita sociale, a partecipare, a contribuire, a offrire il loro punto di vista e a imparare, debbono costringere tutta la compagine sociale a interrogarsi su come offrire a questi suoi figli occasioni vitali di presenza piena, di condivisione, di vita intensa insieme a tutti gli altri. Le vie esperienziali che Giuseppe Campagnoli ed io abbiamo suggerito, e cioè servizio sociale, lavoro, cultura simbolica, indagine, corporeità, natura fan sì che bambini e ragazzi entrino nel vivo della società e non siano semplici spettatori.
Ciò significa che il loro sguardo e la loro sensibilità, da sempre più acuti e ancora non intaccati dal ricatto del denaro e del lavoro salariato, non possano non influire sull’andamento della vita generale.
La loro presenza influirà sulla forma delle città, della viabilità, dell’architettura, costringendo a pensare territori che siano in grado di ospitarli non per fare improbabili città dei bambini ma città a misura di tutta la popolazione nella sua integrità e differenziazione.
I bambini e gli adolescenti chiedono attenzione ma anche ne offrono. Sono un incentivo ad accorgersi della nostra fretta, della nostra distrazione, della nostra stupidità e a voler di nuovo valorizzare la cura, l’accoglienza, la disponibilità, la gratuità, gli affetti.
I bambini sono corpi d’amore in movimento. Non si può restare indifferenti rispetto ad essi. Ogni adulto in possesso di un minimo di consapevolezza si sentirà in dovere di offrire qualcosa a questi soggetti, di condividere con loro qualcosa che pensa di sapere, non fosse che la propria storia, per sentirsi parte di questa nuova comunità e al tempo stesso ne riceverà moltissimo, perché stare con bambini e ragazzi non sotto ricatto e imprigionamento è sempre un’esperienza di intenso arricchimento emotivo, morale, estetico.
I bambini e i ragazzi possono essere, con la loro sensibilità e la loro creatività, una volta rimessi nelle condizioni di partecipare e agire nella società, portatori di attenzione, di denuncia delle molte storture presenti nei confronti della vita, dall’ambiente, della condizione dei più deboli ed emarginati. L’incontro con gli anziani e il circolo virtuoso che ne può scaturire, rendendo i bambini fonte di vitalità per gli anziani e restituendo agli anziani il piacere di trasferire le loro storie e i loro saperi ai bambini e ai ragazzi può modificare in profondità l’assetto del mondo, infondendo nuove consapevolezze e consentendo a chi oggi è messo in rottamazione di rialimentare il circuito tra passato e presente.
Bambini e ragazzi, come voleva Fourier, possono occuparsi della pulizia e dell’aspetto delle città, della cura di essa ma anche della denuncia dei soprusi, dell’indagine su come il territorio viene sfruttato e violentato, sulla necessità di rallentare, di affermare il diritto a più spazio di gioco, di ozio, di tempo dedicato al mondo delle arti simboliche e performative.
Crescere insieme a tutti gli altri soggetti permetterà ai più giovani di rendersi conto presto di cosa significa società, lavoro, sfruttamento, diritti, insomma quello che astrattamente nelle scuole si chiama educazione alla cittadinanza e alla democrazia (qualcuno un giorno mi spiegherà come si possa insegnare democrazia e cittadinanza in un luogo totalmente privo di democrazia e completamente separato dalla città e dalla società reale) . Non più educazione civica ma esercizio di cittadinanza piena, di presenza nelle vie del mondo, non con i parlamentini dei bambini ma con la loro partecipazione attiva nei quartieri, nei luoghi di vita reale.
Sappiamo bene quanto i più piccoli non abbiano ancora spento la percezione acuta di ciò che è disarmonico, del danno recato all’ambiente, agli animali, alla vita. Essi possono diventare un veicolo di riscatto per tutto ciò e una forma di vigilanza attiva al rispetto di ogni forma di esistenza singolare nella sua differenza.
Bambini e ragazzi nel mondo non potranno che modificare i nostri ritmi, allietare il nostro sguardo, ammorbidire la durezza con cui oggi ci si muove nell’esclusivo perseguimento del proprio interesse personale e del proprio successo.
A tutto questo e molto altro mira l’educazione diffusa, o quella che abbiamo chiamato la città educante ma che forse sarebbe più appropriato chiamare la città liberata, la città viva, la città della convivenza amorevole e generosa, dell’attenzione, della cura e del piacere.
Nell’ultimo capitolo de La città educante. Manifesto dell’educazione diffusa ho provato a immaginare come potrebbe essere una piccola città dove l’educazione diffusa sia ormai una pratica consolidata. Magari andare a leggerlo può aiutare a farsi un’idea, un’immagine.