Ciò che manca, a noi ma soprattutto a loro, ragazze e ragazzi, dico, è essere nel mondo, non come dei “palombari nell’ombra” (P.Conte cit.) ma come soggetti a tutti gli effetti (con rima). Noi li abbiamo messi fuori campo, confinati nei depositi concentrazionari che chiamiamo scuola, macchiando indelebilmente la nobiltà di questa parola. Ma loro vogliono essere nel mondo. E noi ne abbiamo un bisogno pazzo.
E allora muoviamoci. L’educazione diffusa impiegherà anni per andare a regime, come da visione contenuta nell’ultimo capitolo di La città educante (Campagnoli e Mottana, Asterios 2017). Però molto possiamo cominciare a fare.
Anzitutto rendiamoli visibili. Si fanno un sacco di belle cose per ragazze e ragazzi, bambini e bambine, ma sempre invisibili, al chiuso, sotto chiave. Basta.
Facciamoli uscire, rendiamoli visibili, facciamogli popolare le strade, gli incroci, gli spiazzi, forniamo opportunità, facciamo che siano essi a prendersi in carico la loro stessa ribalta. Una ribalta non puramente spettacolare ma operativa, creativa, provocativa.
Per esempio: facciamogli fare un mercato loro. Gestito da loro, organizzato da loro, dove vendere e scambiare quello che pare a loro. Un mercato visibile, il Papiniano Junior, dove possono andare anche gli adulti ovvio ma dove sono a loro a gestire il commercio. Con i soldi, con la banca del tempo, con i boycoin, poco ci importa. Che siano loro a decidere. Non più solo baratti e barattoli da bambini, no, un mercato vero, con la loro mercanzia. Sono certo che sarà migliore dei nostri. E dentro ci potranno ficcare cose ma anche performance, varietà, attività da esibire.
E poi: giardini-atelier. Facciamogli recuperare gli interstizi abbandonati, all’aperto. Pezzi di terreno inutilizzati, spazi esterni abbandonati, per fargli impiantare giardini e atelier, palchi e set per concerti, spettacoli, prove, esibizioni. Ma anche angoli lettura e discussione, chioschi e minibar. Affidando loro la progettazione, la realizzazione e la decorazione. Dando in mano loro la gestione, dalle chiavi agli orari alla selezione delle attività, con piccoli comitati di gestione. Che siano loro a stabilire se gli adulti ci devono o meno ficcare il naso, esserci, contribuire o semplicemente fruire.
E poi case dell’amore per ragazzi e ragazze. A quando? Vogliamo continuare a farli amoreggiare di straforo, sbilenchi e in ansia? A quando le prime case dell’amore gestite da ragazzi e ragazze? Dove fare l’amore, sorbirsi una bibita e trovare l’attrezzatura contraccettiva gratuita in camera. Da far pensare, arredare, e gestire ancora da loro. Secondo le loro leggi dell’amore, non le nostre. Che ci possano poi voler portare qualche adulto sarà affar loro, compatibilmente con le normative sempre bigotte che gli toccano.
Aprire consultori gestiti da loro o affiancarli con centri di cultura sessuale, dove rivolgersi per fronteggiare le difficoltà del sesso e non solo le malattie. Con l’ausilio di psicologi, purché non bacchettoni e, perché no?, di qualche esperto della materia, gente che ne sappia, mica Tata Lucia…
Fargli aprire piccoli locali, gestire chioschi, spazi gioco per bambini più piccoli da arruolare magari in altre attività. Costruire parchi Robinson, aprire spazi musica all’aperto e al chiuso, gestiti da loro (con la consulenza di qualche educatore sensibile e ricettivo).
Affiancare al consiglio comunale un consiglio comunale dei ragazzi e delle ragazze, dove discutere delle materie che insistono sulla loro vita: droghe, violenza, sesso, sport, divertimento, saperi, cultura e insomma un po’ tutto, perché poi dove sarà mai tutta questa differenza? Ci sta anche che ci possano istruire a ripensare le materie davvero essenziali e a richiamarci alla vita, stanandoci dalla frigida sopravvivenza che noi adulti ci siamo ormai rassegnati a trascorrere in attesa di passare ovviamente a “miglior vita”.