Una difficoltà strutturale del nostro pensiero, di noi occidentali e moderni, in particolare, è quella di non riuscire a considerare la vita nei suoi vari aspetti come una fondamentale unità a partire dalla materialità vivente. Non voglio intrattenermi sulle ragioni di questo, son fin troppo note (idealismo, nascita del pensiero scientifico, specializzazione, nascita deli saperi disciplinari di tipo scientifico, enciclopedismo, dominio di una razionalità di tipo schizomorfo, separativo e gerarchizzante ecc. ecc.).
Una situazione che tende a non cambiare. E non c’ da stupirsene poiché tutta la nostra vita è strutturata in reticoli di cellule separate, di compartimenti stagni, di processi di separazione e gerarchizzazione. A cominciare naturalmente dalla scuola, dove introiettiamo queste ripartizioni in maniera permanente, dovendo restare per anni e anni in un dispositivo che su tante cose fallisce ma non certo nell’assoggettarci alla sua formula scissoria e disciplinare.
Di qui la continua difficoltà, anche delle menti migliori, di tenere insieme aspetti della vita dell’uomo e del mondo che, con tutta evidenza, l’evidenza di chi vive e di chi sente la vita, ancora prima che di ogni misurazione o sperimentazione, sono inestricabilmente congiunti. La rinascita di saperi “olistici”, di una concezione “naturale” (espressione ovviamente discutibilissima) della salute e dei processi vitali e comunque all’insegna di una considerazione “sintetica” dell’esserci, ha certamente smosso un po’ le acque stagnanti delle celle contigue quanto non comunicanti ma senza intaccare il paradigma accreditato ovunque, quello scientifico e in particolare scientifico-sperimentale. Che a sua volta comporta il paradigma di ragione egemone cioè quello della ragione calcolante.
Non stupisce davvero allora che si continui a consumare una disgiunzione, a mio giudizio assai viziosa, soprattutto agli effetti pratici, tra sentimenti e emozioni, o, bref, tra sentimenti e sessualità. Con particolare riferimento poi alla querelle mai risolta, se non a colpi di vari riduttivismi, tra educazione sessuale e educazione sentimentale.
Un fatto è certo: l’educazione sessuale da noi ma sostanzialmente un po’ dovunque continua a restare lettera morta. Mentre gli educatori sentimentali si moltiplicano a vista d’occhio. Un indizio, tra tanti, che comunque la congiunzione tra questi due mondi, almeno agli effetti dell’esperienza vitale, resta un mistero e che le retoriche razionalistiche continuano per ora a dominare la scena.
Perché i sentimenti, secondo le teorie più accreditate (da Jung al cognitivismo più o meno neuroscientificamente sostenuto), sono l’affioramento cosciente (e sapiente), del corpo incosciente (ignorante). A questo scisma fa da analogon più sofisticato quello tra piacere e godimento, sub specie lacaniana, dove appunto il primo (vitale) resta un approdo elaborato consapevolmente mentre il secondo pura dissipazione senza coscienza (mortifero).
Insomma le vecchie scissioni restano prepotentemente ed anzi ritornano. Si dice anche che oggi si sappia abbastanza di sesso ma poco di sentimenti e che dunque, c’è bisogno maggiore di un’educazione ai sentimenti che alla sessualità. Rinforzando dunque la vecchia antitesi.
E la vecchia antitesi è quella tra corpo e mente, ancora una volta. E, ovviamente, rafforzata ed elogiata, è sempre la mente. Dunque impariamo i sentimenti, ragioniamo sui sentimenti, denominiamo i sentimenti. Il che intendiamoci non è di per sé una cosa cattiva (a meno che non prenda la forma positiva dell’intelligenza emotiva à la Goleman) ma ancora una volta resta monca e soprattutto gerarchizzata all’inverso.
Quante volte occorrerà ripetere che non c’è pensiero senza corpo, che non ci sarebbe mente senza carne e che non c’è sentimento senza emozione, senza percezione e senza sensazione. Quante volte occorrerà dimostrare che i nostri pensieri nascono nel corpo e che non avremmo certe filosofie o certe poesie senza i corpi specifici di Kant o di Nietzsche o di Sylvia Plath e di Rilke e i loro peculiari vissuti? Così come non avremmo la musica suonata da Glenn Gould senza il corpo e l’apparato nervoso di Glenn Gould o il tennis di McEnroe senza il corpo e i nervi di McEnroe?
Non ci sono emozioni se non sessuate, non c’è sentimento se non sessuato, incarnato, a partire dal corpo. Non c’è e non ci potrà mai essere un’autentica educazione senza un’educazione del corpo, senza un’immersione profonda nel corpo, senza un riconoscimento del “proprio” corpo, della sua singolarità, delle sue zone, del suo specifico piano di consistenza, su cui gli eventi vitali scorrono, si fermano, sostano, producono effetti, in maniera del tutto irriducibile a quelli di chiunque altro. E poi si traducono in sentimenti, in pensieri, in opere persino.
Per un’educazione sentimentale, che non sia un’inutile lezioncina sulle forme disincarnate delle emozioni, occorre prima e insieme un riconoscimento del corpo, un’esplorazione del corpo molteplice, dei suoi flussi di energia, dei suoi desideri, delle sue voglie e delle sue idiosincrasie.
Vogliamo finalmente accettarlo questo benedetto corpo, con la sua indole ineludibilmente sessuale e sessuata, il corpo di desiderio, il corpo di piacere, il corpo di godimento? E a partire da esso, mentre lo si stimola, mentre lo si riconosce, mentre lo si scopre, parlare anche di sentimenti?
Quando finalmente si apriranno le porte nella nostra civiltà somatofobica all’arte di amare come arte anzitutto carnale e poi sentimentale, come giustamente sosteneva Fourier e le migliori consapevolezze umane dopo di lui? Le relazioni “celadoniche”, come le chiamava lui (o platoniche, come diremmo noi oggi), erano possibili solo a patto che il corpo fosse sazio, appagato, coltivato. Questa è la gerarchia, non l’inverso, come per secoli ha ritenuto la nostra civiltà nella sua immensa ipocrisia e crudeltà.
Non sarà certo l’informazione che il pornoweb o quattro lezioni di anatomia e idraulica del corpo umano forniscono non senza una sostanziale pruderie diffusa, a educare i corpi singolari dei giovani che entrano nel mondo anzitutto con i loro corpi, corpi spesso abbrutiti dall’immobilizzazione e silenziazione quotidiana. Non saranno, allo stesso titolo, lezioni di sentimento prive di corpo a realizzare l’unica educazione sensata, emozionata e sessuata che i corpi esigono.
Invochiamo un’educazione in corpore, in atto, a partire dai desideri, dalle sensazioni, dalle percezioni vissute e non dai dialoghi socratici e dalle tante filosofie per children più o meno narrative del tutto innocue e prive di conseguenze.
Si tratta, ancor più che di dare voce al corpo, di dare corpo alla voce, di dare carne al pensiero. Come sosteneva Sade non è di fare filosofia nel boudoir che abbiamo bisogno ma di portare più boudoir nella filosofia, di portare più sesso nella parola e nei gesti, di accendere di emozione, di percezioni raffinate e di estasi la pelle delle parole, a tutt’oggi ridotte a sfiati senza sangue né carne.