Perché i nostri intellettuali di successo non riescono a superare il modello tradizionale di scuola, dalla Mastrocola a Lodoli e Recalcati a Galimberti a Settis e a tanti altri?
Sicuramente perché il potere dà alla testa e ci si abitua a non disturbare il conducente, come si suol dire. Ma non è solo questo. Non voglio crederlo per una persona che so onesta come Settis per esempio. Perché dunque?
Credo che il problema, che del resto ho visto manifestarsi in molte situazioni, abbia più a che fare con una sorta di autismo intellettuale e biografico.
Credo che costoro, proprio perché per loro il trattamento scolastico tradizionale ha avuto esiti positivi e poiché vivono a contatto con persone ugualmente soddisfatte dell’essere stati più o meno premiati e rafforzati a scuola (dal momento, tra l’altro, che allora come ora, erano alla ricerca di un rispecchiamento delle loro qualità intellettuali), per loro quello è il modello vincente.
Si tratterebbe insomma di una proiezione del loro passato, di un passato che evidentemente non è stato frustrante, come lo è invece per la maggior parte degli altri, e che anzi li ha lanciati verso magnifiche sorti e ahinoi ancora progressive.
Il difetto naturalmente sta proprio nel meccanismo proiettivo nonché nella assoluta mancanza di empatia con gli altri e in particolare con i bambini e i ragazzi che non ottengono quello che hanno ottenuto loro ma soprattutto di una pressocché totale mancanza di immaginazione. Non riescono a vedere al di là del loro naso, della loro esperienza, dei loro risultati.
Non che questa sia una gran novità. La maggior parte di noi fa fatica a immaginare qualcosa di diverso dall’attuale scuola. La scuola è un passaggio non solo istituzionale delle nostre brevi vite, che colà trascorrono gran parte degli anni cosiddetti migliori (se non ci fosse appunto la scuola che li rende invece opachi e grigi), ma ormai un fenomeno naturalizzato. Così come si viene al mondo si va a scuola. La nostra civiltà ha sancito l’obbligo e l’impossibilità (almeno per i più) di una significativa alternativa ad essi.
Bisogna avere compassione per questi vecchi primi della classe. Sono rimasti laggiù, nelle loro sedioline, davanti ai loro quaderni ordinati, nella beatitudine delle lodi dei loro insegnanti.
Occorre solo lasciarli tramontare e preoccuparsi che più nessuno gli dia il cambio.
Insomma, nel totale rammarico per il danno che questi influenzatori fanno all’esperienza altrui, dobbiamo purtuttavia riconoscere che si tratta di una sorta di disturbo che prende forma nel tempo pur esordendo da una disposizione pregressa (che andrebbe diagnosticata quindi precocemente dai nostri fervorosi psicologi scolastici nella categoria dei DSA), una forma di rintronamento, derivante da un narcisismo patologico, dall’irrigidirsi delle capacità creative, anche indotte dalla continua ricerca di largo consenso (che limita il lessico, le soluzioni creative e il coraggio), da un difetto di fantasia e di immaginazione e in fin dei conti anche da una sorta di indurimento senile del cerebro.
Dobbiamo avere un po’ di pazienza. Sono rigurgiti del passato, rauchi barriti di vecchi elefanti cui si può solo augurare un veloce ricovero in strutture adeguate ove possano coltivare le loro memorie di scolari modello recitando il Carducci, provandosi le tabelline a vicenda e reiterando il memorabile rituale del “celo/manca”.