La carica dei 600 parrucconi accademici

La carica dei 600 parrucconi accademici

Cielo, di nuovo parrucconi che si strappano i capelli, barbogi che pontificano, megere che si scandalizzano!

Quando finirà la trista e trita litania del o tempora o mores? Quando le anime belle del tempo che fu smetteranno di piangere e sbraitare sull’incapacità dei giovani, sui loro sbagli, sulle loro incompiutezze? Di nuovo la vecchia catilinaria della lettura e della scrittura. “fanno errori da terza elementare!” “Non sanno le più pallide regole della grammatica!”. “Non leggono. Non sanno far di conto, non hanno disciplina”. “Le famiglie li rovinano. Le scuole non sono abbastanza esigenti”, “gli insegnanti sono dei mentecatti” e compagnia gridando e infuriando.
Che noia!
Forse occorrerebbe che qualcuno spiegasse ai 600 parrucconi in convulsione da matita rossa e blu, che l’università da parecchio è diventata un’istituzione di massa, che la scuola stessa è diventata da molti decenni di massa e che la civiltà è progredita al punto di non poter tollerare che bambini e bambine e ragazzi e ragazze siano tenuti nel terrorismo delle punizioni, dei castighi e del ludibrio pubblico.
Andrebbe loro spiegato che oggi gli strumenti di cultura si sono assai diversificati e non sono più racchiusi solo nelle biblioteche e nelle librerie e che la lettura ha ceduto il posto a infinite altre occasioni di informazione e di evasione, visto che , fino a prova contraria, coloro che leggono, nella stragrande maggiorana dei casi, leggono soprattutto per evasione, e scrivono solo quando è strettamente necessario e non certo per professione.
Sì, strappiamoci i capelli sulla triste sorta di una giovinezza perduta, ignorante e arrogante. Avanti il concerto: da Galimberti alla Mastrocola, dalla Tamaro a Lodoli, dall’Accademia della Crusca a quella del Politecnico! Giovani senza il dio della scrittura, alla mercè di preposizioni disarticolate, predicati immorali e complementi senza oggetto.

E allora? Irrigidire, disciplinare, sanzionare, moltiplicare i controlli, ergere sbarramenti. Perché non tornare anche ai ceci sotto le ginocchia?

Io credo che li faccia sentire bene, i (o ai?) nostri accademici, schizzare un po’ di merda di tanto in tanto sulle giovani generazioni. Forse gli dà un qualche motivo di esistenza, chissà.

Finiamola una buona volta. Oggi i ragazzi e le ragazze leggono infinitamente più di una volta, anche grazie ai loro dannati telefonini, anche grazie a internet, e scrivono, scrivono molto di più. Leggono e scrivono ciò che interessa loro e non ciò che vogliamo noi. E leggono e scrivono bene o male, ma si intendono.

Io insegno al primo anno di un corso di laurea di educazione, dove approdano studenti che vengono con titoli di studio anche molto poco à la page, eppure scopro tesori di intelligenza, maestria di scrittura, poetica e prosaica, e lettura tutt’altro che banali. Certo in alcuni, come è sempre stato peraltro, in molti altri avverto difficoltà, come sempre è stato peraltro. Capisco che essi comunicano attraverso linguaggi differenti, anche scritti, la cui grammatica e semantica è talvolta differente da quella del toscano cruscante, ma non meno ricca, anche articolata. Le loro faccine sulle loro chat sono forse piè economiche che scrivere del “rumor di croste” della biada, eppure hanno una loro densità, specie quando moltiplicate e associate.
La verità è che non gli stiamo dietro, che loro sono veloci e che se ne fregano delle nostre auree regole. Più o meno come sempre hanno fatto i giovani sani, non quelli già gobbi che immancabilmente finiscono a far marcire le loro frustrazioni dentro le Accademie.

Rassegniamoci: occorre un movimento esattamente inverso. Siamo noi che dobbiamo adattarci, non loro. Siamo noi che dobbiamo aggiornarci, non loro.

Non solo. Se davvero ci teniamo a fargli volgere l’attenzione verso qualcosa che riteniamo cruciale (e qui potrei trovarmi più che d’accordo anch’io. Che leggano Eliot o Rimbaud o Celan o Rilke, lo ritengo piuttosto essenziale). Ma mai ci arriverò sottoponendoli a pene e sanzioni. Occorrerà che elabori dei circuiti motivazionali virtuosi, magari legati ad atti reali, che li chiamino prepotentemente alla lettura, non alle vessazioni dei controlli e delle prove.

Nessun autentico apprendimento è mai passato attraverso la severità (tranne che per i masochisti), solo finzioni di apprendimenti, simulazioni, buone per saltare l’ostacolo e poi scordarsene. Se vogliamo che si appassionino alla scrittura, cosa che in sé è buona e giusta, benché sia falso dire che essi ne siano più di quelli di altri tempi digiuni, occorre trovare il modo di appassionarli facendo leva sulle loro motivazioni, non quelle di qualche obsoleta e fatiscente disciplina istituzionale.

Volete che usino le parole “obsoleto”, o “fatiscente” o “apodittico”, allora occorrerà fare un lungo giro, dentro il sangue e la carne delle loro vite, perché quei termini si conficchino dentro di loro come significanti di significati ricchi di vita, non mere parole imparate a memoria.

La si finisca una buona volta con questo moralismo angusto e cieco, si guardi in faccia la vitalità di questi giovani, che ogni anno trovo un po’ meno addomesticati dei loro progenitori, più aperti, più vivi – probabilmente anche grazie a una scuola che sta finalmente dismettendo la bacchetta e il pugno sulla cattedra, in virtù di insegnanti sicuramente un po’ meno rincoglioniti umanamente di quelli che li hanno preceduti-, più curiosi, più perspicaci, e –perfino!- in virtù delle nuove tecnologie, preziosissime per scoprire ed esplorare ben oltre i confini dell’apprendimento scolare, più informati, magari a modo loro, ma informati.

Io ho imparato a imparare da loro, e basta mettergli sul piatto un cibo saporito per vedergli spalancare gli occhi e la bocca, pronti a gettarsi con persino troppo slancio sul boccone.

Non c’è bisogno di ristabilire la disciplina, c’è bisogno di gaia educazione, di amore, di passione, di contenuti alla loro altezza, di mete realizzabili, di azioni, di gesti, di compiti reali. Basta con il tartassamento di insegnamenti senz’aria, corpo e senza remunerazione umana! E soprattutto basta con la nostalgia di un passato che, ad onta dei fasti di cui personaggi che emanano solo tristezza e polvere li ammantano, sono stati tra le pagine peggiori della formazione dei piccoli d’uomo, oppressi, castrati e castigati oltre ogni possibile giustificazione.

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One comment on “La carica dei 600 parrucconi accademici”

  1. andrea leone

    Eliot o Rimbaud o Celan o Rilke
    che vergogna a parte rilke per un esame di filosofia
    degli altri non ho letto nulla. Se queste sono letture essenziali
    allora mi spiego molte cose! mi piacerebbe essere introdotto fino ad appassionarmi di questi autori

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